Con l’aumento della popolazione mondiale è sempre maggiore la richiesta di cibo, e l’acquacoltura può essere una risposta efficace a questa domanda.
Nella situazione attuale, tutte le produzioni alimentari hanno un forte impatto con l’ecosistema che le circonda, sia dal punto di vista ambientale che da quello energetico. L’acquacoltura riesce a mantenere entro livelli tollerabili questo impatto, collocandosi tra una delle forme più pulite di produzione di proteine animali.
Gli impianti di acquacoltura possono comunque essere di diverso tipo, ognuno dei quali cerca di produrre la maggior quantità possibile di prodotto, della migliore qualità possibile.
Questo rapporto tra quantità e qualità viene gestito dal forte sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni.
Esistono allevamenti che si limitano a circoscrivere un’area di mare abbastanza estesa da essere in grado di fornire tutto il nutrimento necessario alla crescita degli esemplari che vi si trovano. In questo caso l’impatto ambientale è praticamente nullo e non esiste nessuna
differenza sostanziale tra il pescato e l’allevato.
La maggior parte degli allevamenti ittici però, tende a produrre sempre maggiori quantità nel minor spazio e con i minori costi possibili. Questi tipi di allevamenti possono essere intensivi o iperintensivi a seconda del grado di densità di pesce presente in un determinato spazio.
Qui le condizioni ambientali devono essere ricreate artificialmente, introducendo una maggiore quantità di alimentazione e dovendo garantire delle condizioni biologiche e chimiche adatte allo sviluppo sano della specie.
Questo tipo di acquacoltura, per evitare di creare squilibri che avrebbero un forte impatto, sia dal punto di vista della salute e della qualità organolettica del prodotto, sia dell’impatto ambientale, richiede impianti sofisticati di filtrazione e ricircolo d’acqua.
Una grande differenza tra i diversi tipi di impianto la possono fare anche dalla specie allevata, dal tipo di alimentazione introdotta, dai sistemi fi filtrazione e monitoraggio e molti altri.
L’acquacoltura sostenibile
Uno dei parametri più importanti che vengono calcolati per valutare la sostenibilità di un impianto di acquacoltura è il rapporto tra la quantità di pescato e la quantità di pesce prodotto. Il cosiddetto fish-in/fish-out è il rapporto tra la quantità di pesce selvaggio utilizzato per produrre un kg di pesce allevato. Per esempio, la spigola è una specie carnivora e per nutrirla devono essere introdotte nella sua alimentazione farine e olio di pesce. Questi elementi vengono prodotti da altre specie selvatiche pescate in mare.
Fino alla fine del secolo scorso questo rapporto non era assolutamente sostenibile. Era maggiore la quantità di pesce selvatico necessario per produrre quello allevato.
Per allevare un kg di orate o di spigole era necessario 1,5 kg di materiale oceanico, mentre per produrre un kg di salmoni ne erano necessari addirittura 2 kg.
Il forte sviluppo tecnologico imposto dalla sempre maggiore domanda, oggi permette agli impianti di produrre 1 kg di orate o di spigole con 0,53 kg di materiale organico, e di 0,82 kg per un kg di salmone.
È stato possibile arrivare a questi risultati grande al forte sviluppo della ricerca alimentare. Si è riusciti a sostituire i derivati della pesca con prodotti alternativi, introducendo nell’alimentazione delle specie allevate elementi più economici dalle medesime proprietà, come alghe o insetti. In questo modo tutto il ciclo produttivo risulta molto più sostenibile.
L’acquacoltura e l’ambiente
Un altro elemento importante per definire la sostenibilità di un impianto di acquacoltura è la quantità di sostanze chimiche e fisiche immesse nell’ambiente.
Negli impianti dove la densità di pesci è elevata, devono essere prese delle misure di prevenzione per evitare malattie o il diffondersi di infezioni. Con questo scopo vengono utilizzate diverse sostanze come antiparassitari e antibiotici che inevitabilmente hanno una ricaduta sull’ambiente circostante. Sia direttamente, all’interno degli organismi degli animali, sia indirettamente tramite la dispersione conseguente.
Anche in questo caso, lo sviluppo della ricerca cerca continuamente strade alternative per risolvere in modo meno invasivo le esigenze dell’industria. L’uso di vaccini e il miglioramento delle condizioni ambientali in cui crescono i pesci, sono elementi che hanno contribuito a diminuire l’uso di antibiotici, migliorando al tempo stesso le condizioni di vita degli animali.
Sembra comunque che una eccessiva concentrazione, oltre che favorire l’insorgere di malattie, faccia anche scadere la qualità del prodotto. Quindi, soprattutto in questo caso, diminuire la quantità di popolazione all’interno di una vasca non solo non rende l’impianto meno efficace, ma migliora la salute e la qualità del prodotto stesso, con una evidente ricaduta positiva anche economica.
Produrre meno, in queste condizioni, vuol dire produrre meglio e questo concetto potrebbe essere esteso anche ad altri tipi di allevamento, non solo marino ma anche terrestre.
Diversi sistemi di acquacoltura
Oltre al sistema tradizionale estensivo di cui abbiamo già detto sopra, esistono principalmente altri due tipi di impianto di acquacoltura: i sistemi chiusi di ricircolo e l’allevamento in mare aperto.
Acquacoltura a ricircolo
L’acquacoltura a ricircolo è una tecnologia di riutilizzo dell’acqua in sistemi chiusi, usata nell’allevamento di pesci e di altri organismi acquatici. Il riutilizzo dell’acqua è basato sull’uso di filtri biologici e meccanici che depurano le acque di scarto permettendo di riutilizzarle in piena sicurezza. Questo sistema è molto utilizzato per l’allevamento di pesci crostacei e molluschi.
Allevamento in mare aperto
L‘allevamento in mare aperto è stato studiato per risolvere il problema dello smaltimento delle sostanze prodotte dall’impianto, primo tra tutti quello delle deiezioni dei pesci.
Dove l’impianto è collocato in zone dal fondale basso o da correnti deboli, l’immissione di importanti quantità di scorie nell’ambiente ne altera l’equilibrio.
Questo, oltre ad influire negativamente sulla salute e sulla qualità del pesce allevato, altera le condizioni di vita anche delle specie circostanti, creando danni a tutto l’ecosistema.
Si è pensato così di sfruttare zone marine con fondali più profondi e correnti più forti allontanandosi dalla costa per garantire la dispersione delle scorie in modo meno dannoso.
L’élevage multitrophique
Abbiamo visto che esistono due tipi di allevamento, quello a ricircolo in un circuito chiuso e quello lontano dalla costa per sfruttare la maggiore capacità di smaltimento delle scorie.
Esiste però una nuova frontiera che sta aprendo prospettive interessanti in questo settore, ed è quella dell’allevamento multitrofico. Questo nuovo elemento sta fornendo una spinta interessante nello sviluppo di dell’acquacoltura. Questo grazie al concetto di economia circolare, dove ogni componente del sistema viene utilizzato diminuendo gli sprechi.
Acquaponica è la definizione con cui bisogna cominciare a familiarizzare, ed è il sistema che consente di trasformare i microbi degli scarti dei pesci in sostanze in grado di fertilizzare le alghe e le altre presenze vegetali marine. Queste, a loro volta, possono essere riutilizzate per pulire l’acqua e diventare anche cibo stesso per i pesci. Si tratterebbe di creare un circolo virtuoso biologico dove tutto viene utilizzato gli scarti si riducono al minimo.
Sono state sperimentati promettenti impianti in grado di integrare la produzione di specie ittiche con quelle di prodotti ortofrutticoli per il consumo umano.
Un ulteriore sviluppo di questo concetto, riesce a coinvolgere specie diverse di animali, facendo in modo che gli scarti di una specie diventino il cibo di un’altra.
Gli impianti integrati ampiamente sperimentati prevedono la coltivazione di molluschi e quella di alghe. Le deiezioni dei pesci, debitamente filtrate e trattate, servono da fertilizzante per specie vegetali che vengono successivamente riutilizzate per produrre farine e oli da integrare nell’alimentazione dei pesci stessi. In questo modo completato il circolo.
Sono in corso diverse sperimentazioni che potrebbero rappresentare importanti sviluppi in tema di creazione di fonti di energia rinnovabile.
Un ultimo aspetto da tenere in considerazione nella gestione di un impianto di acquacoltura, è rappresentato dalla possibile fuoriuscita di pesci allevati e il loro ritorno nell’ambiente selvatico. Questa fuga potrebbe comportare seri problemi ambientali, contaminando con nuove malattie le specie selvatiche. Ovviamente questo problema riguarda gli impianti in mare, perché nelle vasche chiuse questa possibilità non esiste.
Gli impianti in mare, sia vicino alla costa che in mare aperto, dovranno essere progettati e realizzati in modo da evitare questo rischio. E soprattutto dovrà essere effettuata una manutenzione costante che prevenga ogni tipo di problema.
Negli ultimi venti anni è molto cresciuto l’allevamento in acquacoltura, e ciò può rappresentare una risposta importante al costante aumento del fabbisogno alimentare del pianeta. A condizione che gli impianti siano realizzati e gestiti correttamente per una corretta gestione del patrimonio ambientale di tutti e nel rispetto anche delle specie animali.