Tutti abbiamo la nostalgia dei vecchi sapori di una volta, ma le condizioni di vita, almeno nella parte di mondo che abitiamo, sono notevolmente cambiate. Quello che andava bene una volta, ora in molti casi non è più possibile.
Chi ha visto “2001 Odissea nello spazio” conosce il sospetto che tutta questa “intelligenza artificiale” che ci circonda, un giorno possa ribellarsi ed andare fuori controllo.
Per il momento però abbiamo ancora fiducia che le scoperte scientifiche e lo sviluppo tecnologico possano affrontare problemi complessi e, almeno in parte, risolverli.
Le risorse del pianeta sono limitate e l’intelligenza umana deve fare uno sforzo per trovare le soluzioni in grado di rendere sostenibile uno sviluppo che garantisca la sopravvivenza di tutti.
Per tornare alla domanda iniziale sull’acquacoltura, un esempio che riguarda il futuro condiviso è proprio la necessità di alimentare una popolazione mondiale sempre più numerosa. La necessità di fornire una sempre maggior quantità di proteine rende necessario trovare una risposta a questa domanda.
In questo contesto, l’acquacoltura ha rappresentato un notevole cambio di paradigma rispetto alla pesca tradizionale, perché ha cercato di rendere più produttivo questo settore per rispondere ad una domanda in continua crescita.
L’ecosistema del pianeta si poggia su un equilibrio delicato e il continuare a prelevare dalle risorse naturali sempre maggior quantità di specie selvatiche, alla lunga, procura dei danni che compromettono l’equilibrio generale. A partire dagli anni ’50 del secolo scorso si è cominciato a sperimentare delle tecniche che permettessero di allevare in cattività le specie ittiche più richieste per fornire maggiori quantità di prodotto.
Sono stati sperimenti i primi impianti di allevamento estensivo di acquacoltura che si limitavano a circoscrivere una vasta area marina da cui prelevare le quantità di pesce disponibile, cresciuto in un ambiente sostanzialmente naturale. Questo sistema prevedeva pochi interventi umani in quanto l’alimentazione era fornita dall’ambiente stesso, che determinava anche il numero massimo di esemplari che si potevano concentrare in un bacino.
La domanda sempre crescente ha determinato però la necessità di aumentare progressivamente la concentrazione di esemplari per fornire quantità maggiori di prodotto. Ma da questa esigenza cominciano a nascere tutta la serie di conseguenze e complicazioni che hanno reso necessario lo studio di apparati sempre più complessi di monitoraggio e controllo.
L’acquacoltura intensiva permette di aumentare notevolmente la produttività di un impianto, fornendo alla popolazione della vasca la quantità di cibo necessaria al suo sviluppo. E qui cominciano a sorgere i primi dubbi sulla sostenibilità del sistema.
Il cibo dei pesci viene composto da mangimi formulati con farine e olio di pesce, ma è stato calcolato che fino a qualche anno fa, la quantità di alimento necessario al sostentamento di 1 kg di pesce era di gran lunga superiore al peso stesso della massa.
Per fare un esempio, per alimentare 1 kg si spigole oppure di orate sono necessari 1,5 kg di alimenti composti. Per 1 kg di salmoni ne sono necessari addirittura 2 kg.
È evidente che in termini di sostenibilità questo sistema non può essere una risposta valida, anche in considerazione degli squilibri ambientali e dispendio energetico causati dalla continua attività di pesca di specie selvatiche per alimentare quella in cattività.
L’acquacoltura intensiva, oltre all’alimentazione, necessita si un sistema di continuo ricircolo d’acqua che garantisca un corretto ricambio batterico oltre al controllo di molti altri fattori quali la salinità, la temperatura, il pH e l’eliminazione dell’ammoniaca.
Lo smaltimento delle scorie rappresenta un altro elemento critico per diversi motivi. La dispersione nell’ambiente è in grado di alterare gli equilibri naturali di un ecosistema e quindi non può essere applicata se non in quantitativi minimi. Per gli impianti ad alta densità di popolazione ittica, detti anche iper-intensivi, sono stati studiati trattamenti biochimici dell’acqua, tramite filtrazioni complesse, in grado di neutralizzare, o almeno attenuare, la tossicità delle emissione degli scarti.
In questi sistemi di ricircolo complessi, denominati RAS (Recirculated Acquaculture System) l’acqua subisce molti trattamenti che evitano il proliferare di contaminazioni ed offrono le condizioni ambientali corrette alla crescita della specie.
Importante è la funzione di un biofiltro che favorisce la proliferazione di specifici batteri che hanno la funzione di trasformare l’ammoniaca prodotta dal pesce in nitrati, nella forma chimica dell’azoto meno tossica per il pesce. Altri batteri aiutano, nelle fasi successive, il riequilibrio biologico dell’ambiente con lo smaltimento dei nitrati sotto forma di azoto gassoso.
Tale procedimento consente di consumare meno acqua e riduce le emissioni di azoto all’esterno.
La ricerca scientifica, nel frattempo, individua continui aspetti di miglioramento si tutti i fronti: la qualità organolettica del prodotto, il consumo di acqua e di energia, il reperimento di composti alimentari sempre più efficaci.
Su questo fronte si segnala la difficoltà di una eccessiva concentrazione della fonte alimentare degli allevamenti nelle aziende produttrici di sostanze chimiche. Una eccessiva concentrazione potrebbe portare alla imposizione di prezzi eccessivi in mancanza di alternative percorribili.
Per questo motivo si è sviluppato un interessante campo di ricerca per reperire fonti alimentari alternative da alghe e altri organismi, alimentato dall’acqua ricca delle stesse scorie prodotte dall’impianto.
La strada è ancora lunga per arrivare a sviluppare impianti completamente sostenibili. Però ci si è ormai incamminati irreversibilmente nella direzione di un minor consumo di energia e di impatto ambientale per produrre pesce in allevamenti in acquacoltura, che ora hanno già raggiunto le stesse quantità del pescato.